LE DOLCI BONTA’ DEL GAMBRINUS


Un simbolo della città. Il Gran Caffè Gambrinus – che fa parte dell’Associazione Locali Storici d’Italia ed è inserito fra i primi dieci Caffè d’Italia –  rappresenta nell’immaginario collettivo non solo Napoli, quanto la fase storica della Belle Epoque – che è rimasta intatta fra le sue mura: chiediamo a Massimiliano Rosati, fra i titolari dello storico Caffè Gambrinus qualche cenno sul locale.

In che periodo nacque il Gambrinus?

“ Venne fondato nel 1860 dall’imprenditore Vincenzo Apuzzo e deve il suo nome al patrono della birra, il re delle Fiandre Joannus Primus: negli anni 1889-1890 il nuovo gestore Mario Vacca volle rinnovare la decorazione degli interni e ne diede mandato all’architetto Antonio Curri che fece realizzare statue e dipinti da impressionisti napoletani, da artisti d’avanguardia come Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti e lo arredò in stile Liberty.”

A cosa attribuisce il fascino del locale?

“Al vivo ricordo, conservato nelle sue pareti affrescate, di quel periodo di prosperità generale e gioia di vivere in cui le città cosmopolite come Napoli vedevano la gente riversarsi nelle strade illuminate e piene di negozi, di caffè letterari, di cinema e teatri,  per ritrovarsi ai the danzanti o agli spettacoli: lusso ed eleganza si esprimevano con uno stile di vita più che confortevole, con la villeggiatura alle terme, con viaggi costosi in treni come l’Orient Express della Compagnie Internationale des Wagons-Lits che collegava Parigi Gare de l’Est a Costantinopoli e in transatlantici sempre più grandi e sontuosi come il Titanic.  Un mondo spensierato, destinato a essere cancellato dallo scatenarsi della Prima Guerra Mondiale.”

E che successe al Gambrinus, alla fine di quest’epoca?

“Le guerre infersero un duro colpo al locale che conobbe varie vicissitudini e cambi di destinazione fino al 1952 , quando mio nonno Michele Sergio – determinato a  restituirgli il primigenio splendore – riuscì a riaprirne i battenti, rioccupando le sale su via Chiaia. Furono poi mio padre Antonio Rosati e mio zio Arturo Sergio e a recuperare i locali su piazza Trieste e Trento e su piazza del Plebiscito per riportarlo al nucleo originario.”

Ma voi che siete la nuova generazione, non rimanete fermi al passato, vero?

“Certo che no, abbiamo il progetto di creare un’azienda moderna – senza dimenticare chi siamo e da dove veniamo –  in grado di evolversi come i tempi richiedono: il locale è dinamico e non rimane ancorato a formule desuete ma accetta le sfide della contemporaneità. Ecco perché vi ambientiamo incontri con personalità della cultura e dello spettacolo, presentazione di libri con presenza di personaggi noti di cinema, tv e teatro, eventi di moda, performances artistiche e, soprattutto, vari flash mob.”

Ce ne può citare qualcuno?

 “Un grande riscontro hanno ottenuto sia il Carbonara Day svoltosi davanti al nostro ingresso di via Chiaja che la “Pastiera più grande del mondo” portata a mano fin dentro il locale, che ha riscosso un enorme interesse mediatico: l’elemento chiave per far passare il messaggio era il metro, poiché misurare questa pastiera ha dato subito l’idea delle dimensioni della particolarità dell’evento. Non dimentichiamoci che la pastiera riproduce con le sue tre strisce incrociate ad altre due l’impianto dell’antica Neapolis (cioè l’incrocio dei tre Decumani con i Cardini della città) e che quindi è veramente un pezzo di storia che soddisfa la gola e lo stomaco ma anche l’anima: inoltre, abbiamo inventato nuovi dolci dedicati a delle realtà locali importanti.”

Ci può fare qualche esempio?

 “Abbiamo creato “Il Cappellone” per la Scuola Militare Nunziatella, che abbiamo lanciato in concomitanza con il giuramento degli Allievi svoltosi in piazza Plebiscito: il nome è lo stesso con cui si definiscono gli studenti della scuola di Pizzofalcone e il dolce è composto da una base di biscotto alle nocciole, crema all’arancia, Pan di Spagna, ricoperti da goloso cioccolato. Ma non potevamo mancare di onorare anche il nostro santo Patrono: ed ecco, quindi il “Dolce di San Gennaro”, inventato da me e dal maestro pasticciere Stefano Avellano, formato da uno strato esterno di sfogliatella, Crema pasticcera, Pan di Spagna bagnato con maraschino e Amarene.

Abbiamo anche rivisitato il classico babà facendo il babà al nero, come gesto di accoglienza verso i migranti e abbiamo creato anche un caffè e un dolce molto particolari per le XXX Universiadi che si sono svolte a Napoli.”

E in cosa consistono?

“ Il caffè, con cremina di zucchero e panna montata, è decorato con il logo della manifestazione che rappresenta il Vesuvio, formato da cinque linee di colore diversi che rappresentano i cinque continenti: il dolce, invece, ha una base di pasta frolla alla nocciola, pan di spagna al limone, uno strato di cioccolato bianco, mousse di yogurt, mirtilli interi e granella di pistacchio.  L’insieme è avvolto da un manto di cioccolato bianco e porta una decorazione del logo della manifestazione fatta a mano dai maestri pasticceri del Gambrinus.”

 Come è nata la sua scelta di lavorare qui?

“ Mia madre era la figlia di nonno Michele e io ero il primo nipote maschio, quindi per mio nonno ero il riferimento per il futuro dell’azienda e diceva sempre che dovevo essere io a occuparmi del caffè: il sabato e la domenica mi portava sempre con sé a passeggiare sino a Piazza Dante e io vedevo talmente tanta gente che lo conosceva, lo fermava, gli chiedeva qualcosa e l’omaggiava che pensavo fosse il sindaco di via Roma! Ero orgogliosissimo di stare con lui e portavo scolpito nella mia mente che il proprietario del Gambrinus era un’istituzione per tutti gli altri commercianti, che gli si rivolgevano con grande rispetto: ci vedevamo soprattutto nel fine settimana, quando la famiglia si riuniva per mangiare tutti insieme. Ci sono dei momenti che permeano la tua infanzia, che rimangono indelebili nella memoria e io conservo un bellissimo ricordo di questi pranzi familiari con tutti i parenti, i cuginetti e un’atmosfera felice che non ho mai dimenticato.”

 Come sono suddivisi i compiti per la gestione del locale?

“Ci sono dei momenti di confronto con i miei familiari, i miei zii e mio cugino: non sempre la pensiamo allo stesso modo ma è costruttivo confrontarsi e mettersi intorno a un tavolo per discutere, perché l’unione fa la forza.  Abbiamo cercato di capire cosa serviva al locale, fra pubbliche relazioni, marketing, immagine commerciale e anche un contenuto della sua storia che non vada perso, pur cercando di dare un’impronta moderna: siamo una bella squadra coordinata in cui ognuno ha il suo spazio, però spesso interagiamo e mentre io curo le prenotazioni della sala e gli eventi, mio cugino Michele si occupa molto dei social. Poi, se c’è da fare qualcosa e l’altro non c’è non ci formalizziamo sulle procedure e provvediamo: abbiamo dei ruoli complementari e siamo intercambiabili  sia nell’occuparci della spesa e del personale, sia nel gestire le prenotazioni.”

 Ma ha il tempo per qualche hobby?

“Il mio hobby è il lavoro e mi lascia poco tempo per dedicarmi ad altro: amo lo sport e per anni ho fatto nuoto, kickboxing, curavo molto il peso e facevo sauna e allenamenti con un ritmo piuttosto intenso, al punto che mi chiamavano “secco “ tanto ero magro. Adesso ho assunto una dimensione più matura, non ho più un fisico agonistico perché lasciando l’attività aerobica, inevitabilmente, anche il corpo si trasforma: per giunta, amo molto la cucina napoletana e so mangiare! Nel tempo libero leggo testi di Geopolitica  e cerco di capire a fondo l’argomento delle potenze moderne: mi è stata d’ispirazione la biografia di Donald Trump “Il segreto del mio successo” in cui lui racconta com’è cresciuto a fianco di un padre imprenditore molto tenace e molto tosto e, a sua volta, si è forgiato nella stessa direzione.”

In che senso ne è stato ispirato?

“ Il libro spiega come si deve seguire un percorso per crescere e avere un obiettivo da perseguire, superando gli ostacoli: anche se si è stanchi non bisogna abbattersi per le difficoltà incontrate e se si ha un progetto si deve portarlo a termine.”

E adesso a quale progetto vi dedicate?

 “Stiamo cercando di realizzare un sogno, portare avanti la candidatura di Napoli come capitale del caffè: benchè essa lo sia di fatto, non è però ufficialmente riconosciuta come tale e noi ci stiamo battendo affinchè lo diventi. Vogliamo che torni ad essere una capitale degna del suo passato ma anche di tutto ciò che si svolge attorno al caffè, tra consumi, idee, energie, film, manifestazioni teatrali: pertanto, non solo pizza e mandolini, Napoli dev’essere in tutto il mondo un simbolo del caffè!”

LAURA CAICO

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