Gigi Proietti, il genio modesto


Attore, regista, comico brillante, showman: questo e tanto altro è Gigi Proietti, protagonista ieri al Roma Fiction Fest nel secondo appuntamento della retrospettiva “RAIcordi: Ritratti di quattro grandi dello spettacolo”. Di fronte al pubblico di una gremita sala “Risonanze”, l’artista romano ha ripercorso alcune delle tappe più significative della sua carriera, tra episodi divertenti e riflessioni sullo stato attuale dello spettacolo italiano. “Ho iniziato nel Medioevo”, dice scherzando. Tutto è cominciato a metà degli anni sessanta, quando frequentavo il Centro Universitario Teatrale facendo mimo. Allora non pensavo di avere il sacro fuoco per lo spettacolo, anche se sapevo cantare e suonare diversi strumenti, cosa rara per gli aspiranti artisti di quell’epoca”.

Poi tanto teatro, il suo grande amore. D’avanguardia, drammatico, comico, ma anche quello improvvisato. E qui le prime risate: “Mi ricordo quando fui preso per sostituire un corista per il ruolo dell’Upupa negli “Uccelli” di Aristofane. Indossai una calzamaglia verde sulla quale i costumisti avevano spruzzato vernici colorate. Era estate, gli spettacoli si facevano all’aperto e per il mio ruolo ero costretto a stare sopra un albero. E così, mentre recitavo, i passanti mi tiravano i sassi! Ma non solo, quando tolsi quella calzamaglia, mi ritrovai la pelle tutta sporca di vernice!”

Il 1970 è l’anno cruciale: Proietti viene chiamato a sostituire Domenico Modugno in Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini. Sarà la sua affermazione nella commedia musicale. Un prodotto che però all’inizio, non lo entusiasmava: “Consideravo quel genere teatrale con una certa diffidenza. Poi, quando mi ci sono trovato dentro e ho visto il successo che avevo, ho capito di dover dare una direzione diversa alla mia carriera”.

Il contatto con la televisione avviene nel 1968, quando l’attore conosce il regista Ugo Gregoretti, che gli propone di fare un lavoro per il piccolo schermo. Da quell’incontro nascerà Il circolo Pickwick, di cui Proietti compone anche le musiche e canta la sigla. Il boom televisivo però arriverà soltanto dopo molti anni. “Dicevano che non riuscivo a ‘bucare’ lo schermo. Quando nel ’92 feci ‘Un figlio a metà’, con un ottimo riscontro di audience, stupii i tanti ‘esperti’ che non mi credevano capace di fare bene in tv”. Con “Il maresciallo Rocca”, la popolarità televisiva di Proietti salì alle stelle: “Anche in quel caso in molti non si aspettavano quell’exploit. E quanti – aggiunge ironicamente – ci sono rimasti male per quel successo!

Nel curriculum dell’artista romano c’è anche il grande schermo, anche se lui stesso ammette: “Più che fare cinema ho fatto dei film. Mi sarebbe piaciuto fare qualcosa di più, specie in passato, quando ancora il cinema emanava fascino, quella sensazione di mistero che oggi invece non avverto. I film a cui sono più affezionato? Senz’ altro Casotto e Febbre da cavallo“.

Da attore esperto, Proietti riconosce che il mondo dello spettacolo è cambiato in maniera radicale: “Oggi contano solo gli ascolti. Quando ho cominciato io non me ne importava niente di ‘vincere la serata’ o di fare meglio dei miei colleghi. Non era quella la cosa che contava”. E sull’importanza della funzione del teatro dice: “Bisognerebbe dare più spazio al teatro e alla musica sin dal periodo scolastico. Stare sul palcoscenico può essere un’occasione importante di crescita personale”. Infine, una raccomandazione a chi vuole intraprendere la sua stessa strada: “Fare l’attore è molto divertente, ma allo stesso tempo è un mestiere come tanti altri, con i suoi rischi. Un mestiere da bottega, come diceva Gassman”.

E quando dal pubblico qualcuno gli dà del genio, lui quasi si schermisce. Una prova evidente di come, per essere grandi artisti, bisogna essere prima di tutto umili, e soprattutto restarci.

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