DIEGO ARMANDO MARADONA, L’ULTIMO RE


Come nasce una leggenda. “Dalla polvere agli altari” è il cammino ‘all’envers’ di chi non è assurto ai massimi onori tributati dal suo mondo per poi precipitare(evocando il “Celsae graviore casu decidunt turres” di oraziana memoria ) ma anzi di chi – partendo dalla strada, da un suburbio oscuro, da una miseria endemica – ha saputo riscattare la sua vicenda personale diventando l’emblema di un popolo: cadute, certo, ve ne sono state lungo il percorso trionfante di Diego Armando Maradona, come pure errori a iosa, debolezze, prove disarmanti della sua umanità. Ma nonostante ciò Diego è rimasto un dio incarnato per milioni di persone che – tifose  o no – hanno fatto battere i loro cuori all’unisono con il suo e che, appunto, per questo, ne hanno sorpreso un battito mancante, fermato per un attimo dalla notizia della sua scomparsa.

Il cordoglio è mondiale e attraversa trasversalmente i continenti  a partire “dalla fine del mondo” come ha definito l’Argentina il suo conterraneo Papa Bergoglio e dalla terra di Partenope, sua patria adottiva, per toccare via via tante nazioni e tanti Paesi diversi: per i napoletani Maradona non morirà mai perché ha saputo accendere una scintilla di calore inestinguibile in un popolo che di fuoco se ne intende, vi convive da millenni, gravato dall’ombra inquietante del Vesuvio. Napoli, ricca di un glorioso passato, di arte, di imprese epiche, di regni passati alla storia ha perso oggi il suo sovrano più amato e ne celebra il viaggio nell’aldilà dedicandogli lo stadio in cui riuniva la sua corte, combattendo per una vittoria che non era solo calcistica ma riassumeva in sé l’identità ferita di una gente che sa sorridere di tutto ma soffre anche tanto pur non dandolo a vedere, il più delle volte. I due scudetti, i trofei, i gol sono pietre miliari del suo mito, del volo in cui ha portato con sé ai massimi livelli sportivi l’anima napoletana, regalandole emozioni sconosciute – nella loro espressione più potente – la gioia di vincere, la libertà di gridarlo a tutti, lo slancio di abbracciarsi a chiunque nelle strade traboccanti di felicità, la voglia di affermarsi campioni agli occhi del mondo che sta attonito a guardare, la soddisfazione di affrancarsi dall’etichetta stracciona di terra di derelitti e da quella infamante di covo di delinquenti che – per infiniti anni – le sono state appiccicate addosso come lettere scarlatte.

Diego – secondo a nessuno, nemmeno a Pelè, come lui stesso ha affermato in una indimenticabile serata al Teatro San Carlo – è il simbolo positivo di Napoli, una terra che lo ha amato profondamente, che non accetta di perderlo, che ne organizzerà un funerale festoso, musicale, a ritmo di tango, samba, merengue, bachada, lambada, i balli latino-americani che rimescolano il sangue nelle vene, come le sue fughe vincenti verso la porta avversaria. Il suo avvocato napoletano Angelo Pisani l’ha definito  “ un guerriero del Bene” contro il male che alberga nel calcio, nella società, nella politica dei governi che affamano i poveri facendoli diventare ancor più miserabili: e, inoltre, Pisani ne ha ricordato le innumerevoli azioni benefiche intraprese senza clamore, lontano dalle luci dei riflettori, non avendo Diego mai dimenticato le sue origini e volendo proprio per questo riequilibrare le ingiustizie che incontrava, usando la sua immagine e la sua fama per scagliarsene contro.

Avvicinato da tanti potenti, è rimasto sensibile alle vite difficili dei più umili e ne è stato ricompensato quando – quasi in una replica del film “Il tesoro di san Gennaro” – mani ignote gli hanno restituito i gioielli trafugati dalla sua cassetta di sicurezza durante una rapina in banca: un “miracolo” che l’ha accomunato maggiormente al patrono protettore della città, come vessillo di un’intesa affettiva che travalica il tempo e lo spazio, di cui solo i napoletani sono capaci.

L’amore incondizionato dei partenopei per Maradona era ricambiato pienamente dal “pibe de oro” che non ha mai voluto indossare altre maglie di club italiani, men che meno dell’acerrima nemica, la Juventus che pure aveva cercato di reclutarlo, dimostrando così incrollabile lealtà, desueta fedeltà, viscerale attaccamento alla squadra e alla città che l’ha amato come il suo figlio più prodigioso: pertanto non c’è un addio ma un arrivederci in nuove e celesti dimensioni.

Sei sempre qui con noi, Diego: impossibile dimenticarti, sei stato veramente l’ultimo Re di Napoli!

 

LAURA CAICO

 

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