Dalla pandemia all’infodemia: il virus nella mente


“Dalla pandemia all’infodemia con il virus che si insinua anche nella mente”. I dati della ricerca biennale “Infosfera” ideata e promossa dal laboratorio Unisob MediaLab dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli dimostrano come “l’epidemia di COVID-19, scoppiata nel mese di gennaio 2020, abbia rapidamente scatenato anche un’infodemia (un’epidemia di informazioni) non solo attraverso le piattaforme online, come Facebook e YouTube, ma anche attraverso i mercati. Un’infodemia nel corso della quale i social media sono stati inondati con una valanga di annunci fuorvianti 24 ore su 24, notizie false, narrazioni su teorie della cospirazione e molto altro ancora”.

La ricerca scaricabile gratuitamente dal sito web www.unisobmedialab.it, mostra in maniera evidente come durante un anno di infodemia si siano alterate le convinzioni di partenza degli intervistati.

In Italia ad un anno di distanza (la prima somministrazione dei questionari è stata effettuata nel mese di aprile 2020 in pieno lockdown in Italia e la seconda somministrazione nel mese di febbraio 2021) è aumentata di oltre il 7% la percentuale degli italiani che crede alla narrazione del virus creato in laboratorio come arma batteriologica (dal 19,36% al 26,48%).

Altra convinzione mutata a causa delle influenze mediatiche è quella sull’importanza del tracciamento. Se nella prima fase della pandemia il 56,81% degli italiani riteneva necessario tracciare i movimenti dei cittadini attraverso app o smartphone per prevenire nuovi contagi dell’epidemia, circa un anno dopo la percentuale è scesa al 40,6%Decisamente volubile anche l’idea sull’azione del governo italiano. Ad aprile 2020 per il 55,93% degli intervistati, l’Italia, con i decreti governativi, aveva risposto all’emergenza COVID-19 in maniera tardiva ma efficace. Dato crollato al 36,03% nella seconda rilevazione.

Per i direttori della ricerca Umberto Costantini, docente di Teoria e tecniche delle analisi di mercato ed Eugenio Iorio, docente di Social media analysis, la sintesi del fenomeno che si è sviluppato con la pandemia e la spiegazione di movimenti ideologici senza basi scientifiche come quelli ‘novax’ l’aveva già teorizzata Douglas Rushkoff oltre vent’anni fa nel suo celebre volume “Media Virus”. “I media virus si diffondono attraverso la datasfera come quelli biologici si diffondono in un corpo o in una comunità, ma, anziché propagarsi in un sistema di circolazione organica, un media virus attraversa le reti del mediaspazio. Il “guscio proteico” di un media virus può essere un evento, un’invenzione, una tecnologia, un sistema di pensiero o una teoria scientifica, basta che catturi la nostra attenzione. Qualsiasi guscio di media virus cercherà le nicchie e gli angolini ricettivi nella cultura popolare e farà presa ovunque verrà notato. Una volta che si è insediato, il virus inietta i suoi programmi più nascosti nel flusso dei dati sotto forma di codice ideologico”.

 

Il ‘dramma’ dell’italiano credulone vittima delle fake news

 La ricerca di Unisob MediaLab realizzata in collaborazione con il Centro Studi Democrazie digitali, la Fondazione Italiani – Organismo di ricerca e l’Associazione italiana della Comunicazione pubblica e istituzionale, ha registrato un clamoroso aumento del tempo trascorso su internet dagli italiani (prima del Covid-19 il 50,09% degli italiani trascorreva non meno di 4 ore su internet e durante il Covid-19 la percentuale è arrivata all’83,8%) e si è soffermata anche in questa edizione sul tema delle fake news per altro in questo periodo strettamente connesso a quello dell’infodemia causata dal virus.

 ‘Drammatici’ i dati raccolti in tal senso. Un italiano su due non ha ben chiara la differenza tra comunicazione politica e comunicazione pubblica e istituzionale. Il 64,37% degli italiani non sa distinguere una pagina Facebook da un sito bufale.  L’86,13% non sa riconoscere un profilo fake di Twitter.  Il 60,78% confonde il sito di bufale proposto come un sito di informazione.

 La credibilità dei media come antidoto alle fake news

“Gli italiani tendono a credere una notizia vera soprattutto quando:

l’autore è verificato e/o esperto in materia (61,83%) o quando contiene citazioni e riferimenti ad altre fonti attendibili (43,36%)”. Il dato della ricerca Infosfera sulla credibilità delle notizie mostra come l’autorevolezza dei media tradizionali possa costituire uno degli antidoti principali alla circolazione delle fake news. Ecco che assume, quindi, grande rilevanza la consueta analisi biennale che la ricerca dell’Università Suor Orsola Benincasa ha condotto anche sulla credibilità delle diverse fonti di informazione. In questo ambito emerge che le televisioni nazionali pubbliche sono utilizzate dal 55,99% degli italiani (maggiormente utilizzate più da anziani e più da istruiti) e in esse ripone fiducia il 49,85% del campione. Le radio nazionali sono utilizzate dal 37,82% degli italiani con il dato di fiducia al 38,12% degli intervistati. I quotidiani nazionali cartacei sono utilizzati dal 30,14% degli italiani (principalmente le fasce d’età più anziane) e in essi ripongono fiducia il 39,27% degli italiani. I portali di informazione online sono utilizzati dal 45,41% con il dato di fiducia al 30,84%.

Il campione statistico della ricerca

La rilevazione dei dati contenuti nella ricerca è stata effettuata mediante intervista diretta tramite questionario su tutto il territorio nazionale. I questionari somministrati e successivamente validati sono stati oltre duemila con un possibile errore statistico che si attesta al +/-2,4%.

 

 

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