IL VOLTO ANTICO DI VIA FALCONE


Quel che resta di un borgo. Il “salottino” di via Aniello Falcone, a Napoli, – ovvero la curva magica che va dalla Villa Floridiana all’accogliente edicola del mitico giornalaio Gigino (oggi affidata a Ciro de Marco e adiacente ai giardinetti intitolati a Nino Taranto), racchiudendo in un mirabile arco bellezze artistiche, architettoniche, naturali e il profumo del passato – sopravvive all’assalto delle nuove leve, dei baretti chiassosi e nottambuli, degli schiamazzi che nel fine settimana si protraggono sino all’alba per via dell’incontrollato sviluppo di esercizi di vicinato  autorizzati alla vendita di alcoolici, di bar e locali che fungono da discoteche all’aperto o al chiuso, con migliaia di giovani che passano la notte a bere e ballare sui marciapiedi, fra percussionisti di strada, fuoco di fumogeni, musica al massimo dei decibel.

 Anche altre zone della città perdono vivibilità dimenticando le regole di normale e civile convivenza, la tutela del cittadino, la sicurezza e la salute pubblica ma – week end a parte – via Aniello Falcone conserva, invece, ancora tracce del suo splendido passato, offrendo agli abitanti che hanno superato gli “anta” la possibilità di ritrovare alcuni riferimenti di una dimensione filosofica, altrove del tutto cancellata. Memoria storica di questo elitario agglomerato urbano che ama e rispetta il patrimonio monumentale, artistico e culturale è l’esperto giardiniere Don Luigi Castaldi – appartenente alla famiglia Pastore (altra istituzione del posto) in virtù del suo matrimonio con la bellissima Carmela Pastore, da anni purtroppo scomparsa ma sempre viva nel suo cuore. Figura caratteristica del borgo, Don Luigi osserva lo scorrere di auto, persone e della vita stessa da un curioso osservatorio, la sua sedia a sdraio collocata a fianco all’edicola, presso cui si fermano tutti i residenti: chiacchiere, informazioni sulle rispettive famiglie, scambi di opinioni, pronostici sul calcio Napoli di cui il garbato edicolante è tifosissimo, commenti sull’attualità, la società, la politica – spesso accompagnati da un buon caffè fatto arrivare bollente dall’adiacente caffetteria –sono i punti ricorrenti di un rituale ancorato all’antico spirito del luogo fatto di buone maniere, educazione, riguardo, con la nostalgia di tempi neanche troppo lontani in cui queste attenzioni e cortesie erano una prassi e non un’eccezione. Dall’alto dei suoi 87 anni – assolutamente ben portati –  Don Luigi commenta la convulsa vita contemporanea rivolgendo il pensiero alla sua giovinezza, che ama raccontare a un uditorio affascinato dal quadro idilliaco di amori sempiterni, formalità desuete e valori sentimentali ormai rarefatti che rivivono nelle sue parole: dai suoi ragionamenti riemerge il ritratto del borgo incantato che fu via Aniello Falcone dal dopoguerra fino ancora agli anni ’60, si percepisce il ritmo pigro delle giornate trascorse in semplicità godendo il magnifico panorama del golfo dai balconi spalancati sul mare, fra coltivazioni di frutta e fiori già allora biologici. Ascoltandolo sembra di visualizzare le passeggiate tranquille delle famiglie, l’afflusso sul belvedere per assistere ai fuochi a mare della festa di Piedigrotta, le mangiate all’aperto con il compare Mimì padrino di comunione, l’arrivo mattutino delle “belle del quartiere” (giovani mamme che portavano i bimbi alla Floridiana, liberi di giocare all’aperto con le tate e di immergersi nella natura) davanti all’atelier sartoriale Attolini, al civico 19; tappa obbligata, infatti, era il saluto al “commendatore” Alfredo Attolini classe 1892 e il bacio beneaugurante al suo corno, sempre ben in vista. Personaggio altamente scaramantico – al punto da piantare anche delle agavi contro il malocchio – Attolini trascorreva le mattine seduto lì fuori, proprio davanti allo chalet di montagna in legno che (memore dei successi paterni come chef di Palazzo Reale e di Harrison Davis, l’ultimo proprietario privato della Villa Floridiana) nel 1926 trasformò in trattoria insieme alla moglie Nunzia D’Angelo, a cui volle dedicarla intitolandola appunto “D’Angelo”: dai flash back di Don Luigi affiorano altri frammenti di memorie, personaggi come il grande luminare medico Giuseppe Zannini, posti non più esistenti tra cui il dancing La tavolozza, la clinica La Quiete dove operava il professor Galgano sulla salita accanto alla villa del professor Dominici, il palazzo con le colonne, la casa di tolleranza della signora Rosa, la vineria di Don Salvatore.

Ecco rievocati eventi come l’intitolazione di Largo De Martino davanti al ristorante Le Arcate, l’apertura dello studio del designer Riccardo Dalisi classe 1931 e, poi, anche qualche episodio drammatico più recente, fatti di cronaca come una spietata esecuzione a colpi di pistola fra due moto e il crollo sei anni fa del pino marittimo sulla povera Cristina Alongi, alla cui memoria tutti i residenti hanno voluto dedicare una pianta di ulivo: nel suo eloquio s’intrecciano a tratti ricordi personali, lo spavento infantile per le sirene d’allarme per i bombardamenti, le cure del dottor Simeone per il tifo contratto per le cozze crude che però gli evitò il reclusorio al Real Albergo dei Poveri detto “Il Serraglio” per le sue intemperanze di scugnizzo, la vita nel dopoguerra. Singolari le annotazioni di costume come il rito domenicale delle pastarelle, la consegna a mano nelle varie case del pane che lui portava dal panificio dello zio Giuseppe a Santa Maria in Portico, il lavoro come autista di un generale, il servizio militare come istruttore avvezzo all’uso dei bazooka da avvitare sui carri armati: Don Luigi non manca di dipingere con la sua voce arrochita scene bucoliche come il passaggio dei carretti a un tiro a due di cavalli che portavano 3 botti gigantesche con mille litri di vini di Ischia e Monte di Procida, abitudini antiche come il “voi” con cui ancora i suoi figli gli si rivolgono. Improvvisi accenti di tenerezza lo commuovono al sovvenirsi del pudore della giovanissima Carmela che, a soli 12 anni, incontrandolo per strada s’innamorò di lui tredicenne e rivelò il colpo di fulmine scoccato con un subitaneo e acceso rossore, impossibile da dissimulare: riaffiorano qua e là la figura dell’energica mamma Santina, lo scalpore suscitato per la “fuitina” decisa per superare l’ostilità del futuro suocero don Vincenzo, il matrimonio a 19 anni con Carmela di 17, la partenza dei fratelli della moglie per l’America.

Dai suoi discorsi si evincono la serenità e soddisfazione di una vita vissuta pienamente, di un grande amore mai spentosi, dell’affetto con cui lo circondano i figli Rosario di 67 anni e Franco di 65 anni, i nipoti e tanti amici che lo cercano e lo stimano: queste emozioni sono il substrato che intesse i suoi colloqui, il fil rouge che lega a lui tante persone unite dal comune amore per la bellezza, la natura, gli animali e che, attraverso la sua voce, rivivono momenti indimenticati e indimenticabili della loro giovinezza. Ecco perché in questo semicerchio incantato di via Aniello Falcone alberga ancora lo spirito di aggregazione, di appartenenza al territorio, di apertura mentale, di accoglienza: qui, nelle persone che vi abitano, è forte e vera la disponibilità verso il prossimo, considerato non come un estraneo da evitare ma come un anima in viaggio come tutte le altre, in cerca della sua finalità suprema da raggiungere attraverso un cammino lastricato di sentimenti autentici, regole rispettate, dedizione, altruismo, buone azioni e pensieri positivi, lungo la meravigliosa avventura della vita.

 

LAURA CAICO

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