Deposizione di Gerini e Tabernacolo di Nanni di Banco: oggi la presentazione dei due restauri


Oggi lunedì 21 settembre, alle 17 nella Chiesa di San Carlo dei Lombardi (via Calzaioli, a Firenze), si è svolta la presentazione di due importanti restauri che si sono recentemente conclusi.
Il primo riguarda la Deposizione e Resurrezione di Gesù di Niccolò di Pietro Gerini, monumentale dipinto dell’ultimo ventennio del XIV secolo, il cui recupero è stato finanziato dal quotidiano giapponese Yomiuri Shimbun (e dagli Amici dei musei e monumenti fiorentini che ne hanno finanziato il trasporto, il montaggio e l’assicurazione) e curato dai tecnici dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Il secondo ha visto tornare a una più corretta leggibilità il tabernacolo di Nanni di Banco per i Quattro Santi dell’arte dei maestri di pietra e legname, nella facciata nord del Museo di Orsanmichele; l’opera è stata restaurata con fondi messi a disposizione dagli Amici dei musei fiorentini, la cui opera di volontariato permette di tenere aperto ogni lunedì Orsanmichele, San Carlo, e la sede dell’Accademia delle Arti del Disegno nel vicino, antico palazzo dell’Arte dei Beccai.
La presentazione prevede la partecipazione del Rettore Monsignor Sergio Guidotti e del Rettore di Orsanmichele Monsignor Giancarlo Corti Vicario Episcopale per il servizio della carità ed il sociale, del Direttore del Polo Museale Regionale (e competente per le opere delle Gallerie in deposito esterno) Stefano Casciu, del Soprintendente all’Opificio delle Pietre Dure, Marco Ciatti, della già direttrice del Museo degli argenti (e responsabile opere delle Gallerie in deposito esterno) Maria Sframeli, del Direttore di Orsanmnichele Antonio Godoli e del Presidente degli Amici dei Musei Giovanni Cipriani.
Per l’occasione saranno presentati due opuscoli sul restauro e la storia delle due opere, commissionati dagli Amici dei Musei all’editore Pagliai-Polistampa e curati da Maria Sframeli e Antonio Godoli; agli intervenuti alla presentazione sarà fatto omaggio di una copia delle due pubblicazioni.

NOTE STORICHE SUL DIPINTO
Oggi concordemente attribuita a Niccolò di Pietro Gerini, la tavola è ricordata da Vasari (1568) nell’“oratorio si San Michele in Orto” come opera di Taddeo Gaddi. Secondo Giovanni Poggi (1895) sarebbe stata spostata nella collocazione attuale nel 1526, quando venne disfatto l’antico altare. A seguito di ricerche d’archivio, la studiosa Diane Finiello Zervas (2003) ritiene invece di considerare l’ubicazione nell’attuale San Carlo come originaria in quanto il Santo dedicatario di quella chiesa era al momento della sua costruzione San Michele arcangelo e la cappella maggiore era di patronato della famiglia Pilli, la cui arme (“di rosso al palo di vaio cotissato d’oro”) è ancora visibile sopra l’arco della tribuna e nella volta della cappella.
Stando alle fonti, l’opera fu rimossa dall’altar maggiore nel 1616, quando la chiesa passò alla Compagnia di San Carlo dei Lombardi, devota a San Carlo Borromeo, e fu sostituita dalla grande pala di Matteo Rosselli raffigurante il Santo. Trovò nuova collocazione nella parete interna sopra la porta d’ingresso; qui è citata da Cinelli (1677), Del Migliore (1684), Richa (1754) e Bottai (1759).
L’arrivo alle Gallerie fiorentine risale al 1781 ed è documentato nelle filze dell’Archivio Storico (Filza XIV, nn. 85 e 89) come legato alla costituzione nella Galleria degli Uffizi del Gabinetto delle Pitture antiche fortemente voluto da Luigi Lanzi. Per le sue notevoli dimensioni la tavola non poté essere sistemata nel corridoio, dove aveva sede la sezione, e fu per questo ricoverata nello spazio sul pianerottolo della scala che conduce dalla Galleria al Corridoio Vasariano.
Quando la Galleria dell’Accademia andò configurandosi come raccolta di tavole estratte nel corso delle soppressioni leopoldine e napoleoniche dei conventi, parve conveniente inviare all’Accademia la tavola del Gerini (Filza LXV, n. 34) e in cambio trasferire agli Uffizi la grande ancona di Nicolas Froment raffigurante Storie di Lazzaro.
Nell’ottica di una ricostituzione dell’antico arredo della chiesa di San Carlo, ormai nel corso del Novecento (1931), la tavola fu ricollocata nella sua antica sede, dove vie è nuovamente approdata in questi giorni, grazie anche agli Amici dei Musei Fiorentini che ne hanno finanziato il trasporto, dopo l’intervento di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

NOTE STORICHE SUL TABERNACOLO
L’Arte dei Maestri di pietra e legname fu tra quelle incaricate già nel 1339 di partecipare con un proprio tabernacolo alla decorazione dei pilastri esterni della loggia del grano; delle 21 arti aveva il maggior numero di associati, comprendendo tutte le attività proprie dell’edilizia: muratori, cavatori di pietra e scalpellini, fabbricanti di mattoni, falegnami, carpentieri, trasportatori di materiali, categorie impegnate nella costruzione della città. Dalle dichiarazioni al Catasto la categoria degli appartenenti all’Arte, pur essendo la più numerosa, risulta quella con minori introiti, vivendo del proprio lavoro, senza gli utili e i profitti di altre corporazioni.
Il tabernacolo viene costruito nel secondo decennio del secolo da Nanni di Banco (1378 ca.-1421) il quale faceva lui stesso parte della corporazione dei Maestri di pietra e legname, è l’unico in cui sono collocate quattro statue; le figure sono appoggiate su una piattaforma dalla cornice sagomata e arcuata nella parte centrale per offrire più spazio agli astanti; la predella marmorea originale, inquadrata dagli emblemi dell’Arte sugli spigoli, col racconto dei Quattro Santi al lavoro, ricorda, sempre scolpita da Nanni, quella alla base del suo Sant’Eligio col miracolo del santo sulla facciata occidentale. Altro elemento che rivela la bravura dello scultore è il tessuto raffigurato nel marmo, a rivestire l’incavo della nicchia e drappeggiato sui pilastri laterali, sottili per lasciare più spazio al vuoto che ospita i quattro personaggi; ampiezza rimarcata dall’arioso arco a tutto sesto, piuttosto che da un arco acuto come avviene per tutti gli altri tabernacoli ad eccezione di quello donatelliano per la Parte Guelfa, poco più tardo. Nella cuspide sovrastante la nicchia, la figura del Cristo benedicente, riempie col suo bassorilievo tutta la superficie del timpano; il Redentore emerge con accentuato rilievo inclinando la testa verso la strada processionale (via dei Calzaioli). L’impiego dei marmi scuri –serpentino o nel nostro caso verde di Prato- aiuta, nelle tarsie, a definire l’impaginazione strutturale. Chiodi scuri, sempre di serpentino, fissano in modo realistico le pieghe del tendaggio appeso ai parati della nicchia.
Le quattro figure, scolpite in tre blocchi di marmo (un blocco per i due personaggi a destra e due per i restanti), sono i martiri cristiani Caustorio, Claudio, Sinforiano e Nicostrato, che straordinari artisti – si narra che fossero capaci di lavorare il durissimo porfido senza spezzare gli attrezzi – si rifiutarono di erigere il simulacro di un dio pagano e per questo furono condannati a morte. Si sa che lo scultore fa largo uso di fonti antiche nella sua opera; fra i tre personaggi che ascoltano pacatamente l’oratore che declama, mentre quello che gli è prossimo pone familiarmente la mano sulla sua spalla, viene a stabilirsi una profonda interazione psicologica. Le figure scolpite da Nanni non hanno gli attributi dei martiri, come la corona e la palma, ma sono togati, avvolti in ampi mantelli e portano sandali romani, i volti hanno espressioni austere e pacate. La fisionomia sembra ispirarsi ai tipi della ritrattistica imperiale antonina del II secolo dopo Cristo, ed in effetti in tempi repubblicani – cui talvolta queste statue sono state riferite – non usava generalmente portare la barba. È stato osservato che la loro santità si connota di forza morale più che di accenni devoti, essi incarnano modelli civici come rappresentanti aulici del potere delle Arti nel governo cittadino; del resto, come avviene per tutto il complesso di Orsanmichele, anche in questo gruppo scultoreo è presente l’espressione del potere economico sostenuto da principi civili e religiosi.

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