Il racconto di due cugini : Così abbiamo scoperto di avere la rara Malattia di Kennedy


Tremori, crampi e debolezza muscolare: due cugini presentavano gli stessi inspiegabili sintomi da almeno 10 anni. Finché non è arrivata la diagnosi: atrofia muscolare bulbo-spinale, o malattia di Kennedy. Una patologia rara e genetica, a lenta progressione e dall’andamento imprevedibile. A raccontare la propria esperienza all’Osservatorio Malattie Rare sono Gianni e Marco, entrambi 52enni padovani. Il primo a ottenere la diagnosi è stato Gianni: dieci anni fa, in seguito ad un’operazione di ernia del disco, ha iniziato ad avvertire un fastidio alla gamba destra, al quale in seguito si è aggiunta la debolezza, gli inciampi e le cadute. Ricoverato all’Ospedale Sant’Antonio di Padova, è stato sottoposto a tutti gli esami necessari, e infine alla mappatura genetica, che ha rivelato la diagnosi.

IL RACCONTO. Oggi i suoi sintomi sono un leggero tremore alle mani, qualche crampo e la difficoltà nel salire le scale. Ho dei cedimenti muscolari improvvisi, mi possono capitare mentre sto versando il vino a tavola, mentre sollevo una valigia o quando sto camminando, mi manca la forza nelle gambe e inciampo”, racconta Gianni. Sintomi simili a quelli che manifestava, da oltre vent’anni, anche suo cugino Marco: ha scoperto la malattia solo quest’anno, dopo l’esame genetico a Padova. “Negli ultimi tempi ho notato un peggioramento nei muscoli bulbari, un’asimmetria nel sorriso, e qualche difficoltà nel parlare, come un abbassamento del tono di voce”, spiega.

Gianni e Marco non assumono alcun farmaco, ma diversi integratori: vitamina D, E, e B12, antiossidanti come il glutatione e il coenzima Q10, zuccheri come il trealosio. Gianni segue un programma di attività fisica che comprende ginnastica posturale, pilates, stretching ed esercizi per l’equilibrio. I due cugini hanno iniziato a seguire i più importanti convegni internazionali sulla patologia, come quello dell’European NeuroMuscular Center, ad Amsterdam, e quello della Kennedy’s Disease Association, a Washington. “È una malattia che ha un impatto psicologico molto forte – aggiunge Marco– ma ho fiducia nella ricerca e nella collaborazione a livello internazionale”.

RARA E GENETICA.La malattia di Kennedy è una rara patologia genetica legata al cromosoma X, dovuta alla mutazione del gene che codifica il recettore degli androgeni, gli ormoni sessuali maschili. Le donne possono essere portatrici, e anche se omozigoti non manifestano sintomi, a causa della loro bassa produzione di androgeni. La prevalenza è di 1 su 30.000 nati maschi, ma il dato è molto disomogeneo nelle varie stime condotte in diverse nazioni. Questo è dovuto al cosiddetto “effetto fondatore”, un processo che, ad esempio in seguito ad un prolungato periodo d’isolamento, determina lo sviluppo di una nuova popolazione a partire da un piccolo numero di individui, i quali portano con sé solo una parte della variabilità genetica della popolazione originale. Per questo motivo la maggior parte dei casi in Italia si trova al nord, specialmente in Veneto e in Emilia.

Il Dr. Gianni Sorarù, neurologo dell’Università di Padova, ha in cura oltre cento pazienti. “La malattia di Kennedy – spiega – colpisce i motoneuroni del tronco encefalico e del midollo spinale: si verificano atrofia e debolezza muscolare a carico degli arti e del distretto bulbare (la regione del cervello che controlla i meccanismi della deglutizione e dell’articolazione della parola). La mutazione fa sì che il recettore malato produca un danno tossico e causi la degenerazione delle cellule. Il recettore malato, inoltre, non riesce a mediare in maniera funzionale l’azione degli androgeni influenzando pesantemente la sfera sessuale con atrofia dei testicoli, impotenza, infertilità e ginecomastia. La malattia – continua Sorarù – si manifesta intorno ai 30-40 anni. L’aspettativa di vita è come quella normale, anche se può essere minata da insufficienza respiratoria, che tuttavia è molto rara. La progressione è lenta, e la perdita della deambulazione non si verifica spesso: in una recente indagine condotta in 73 pazienti, abbiamo notato che solo 4 o 5 di loro usavano la sedia a rotelle”.

“I pazienti – chiarisce la biologa Maria Pennuto, dell’Università di Trentovengono spesso diagnosticati come affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA): i sintomi sono simili, ma se c’è un dubbio, è comunque possibile effettuare il test genetico. I sintomi della Malattia di Kennedy sono di tipo endocrinologico, come diabete e ginecomastia, altri riguardano la sfera sessuale. Si presentano atrofia muscolare agli arti e problemi alla muscolatura facciale; poi, con la degenerazione dei neuroni bulbari, sorgono anche problemi di deglutizione”.

LA RICERCA. I centri di riferimento per la ricerca in Italia sono l’Università di Padova, con il neurologo Gianni Sorarù, e quella di Trento, con la biologa Maria Pennuto, da anni impegnati nella sperimentazione di due molecole: il clenbuterolo e la proteina IGF1.Nel 2013 il Dr. Sorarù ha coordinato uno studio sulla terapia a base di clenbuterolo, un farmaco che in Europa viene usato come anti-asma. I 16 pazienti sottoposti al trattamento hanno ottenuto un aumento significativo di forza muscolare e capacità vitale forzata. In seguito a questo risultato era previsto uno studio più ampio, in doppio cieco, che però è stato deciso di avviare una volta ottenute maggiori informazioni sugli effetti del farmaco attraverso studi in vitro e nel modello animale. “Al momento – sottolinea Sorarù – purtroppo non esiste una terapia, neppure sintomatica: non sappiamo, ad esempio, se sia adeguato trattare i pazienti con farmaci contro l’impotenza”.

La ricerca ha intrapreso però anche un’altra strada: è ora in corso uno studio di fase I/II, al quale partecipano l’Italia (con i centri di Padova e Trento), gli Stati Uniti, la Germania e la Danimarca. Il trial valuterà l’efficacia della terapia con la proteina ricombinante IGF1, che ha già dimostrato un effetto positivo sui topi. “Le grandi speranze per trovare una cura sono il clenbuterolo e la proteina IGF1”, spiega la Dr.ssa Pennuto. “Tutte e due le sostanze agiscono come anabolizzanti del muscolo, attirando lo stesso segnale intracellulare. Entrambe – continua la biologa – sembrano avere grandi potenzialità, e mi auguro che almeno una di queste possa diventare la prima terapia accettata per la malattia di Kennedy”.

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