Riapre il Museo del vetro di Murano


È un museo completamente trasformato quello che riapre al pubblico a Murano dal 9 febbraio, per raccontare una grande storia. Spazi espositivi quasi raddoppiati, un progetto museografico totalmente rinnovato, allestimenti e percorsi ridisegnati consentiranno ai visitatori di cogliere gli snodi chiave dell’avventura del vetro a Murano e di godere appieno dei capolavori – in molti casi unici – qui custoditi. E poi nuovi servizi per il pubblico, l’abbattimento delle barriere architettoniche, la messa in opera di due ascensori, la possibilità di esporre parti della collezione finora rimaste nei depositi e di realizzare eventi legati anche alla creatività più attuale, con un fascinoso e inatteso dialogo tra ambienti contemporanei e sale antiche. Insomma, una grande festa per l’isola e per Venezia. Il Museo del Vetro di Murano, uno dei dodici della Fondazione Musei Civici di Venezia, è forse l’unico luogo al mondo dove l’arte del vetro è raccontata fin dalle sue origini: dagli esempi di vetri romani tra il I e il III secolo d.C. alle creazioni del Rinascimento, fino ai virtuosismi innovativi del Settecento che anticipano l’insperata rinascita del vetro alla fine del XIX secolo e le sperimentazioni del Novecento. Certamente è l’unico museo dedicato al vetro artistico inserito in un contesto produttivo ancora fortemente attivo e radicato, grazie alle tante fornaci e vetrerie tutt’oggi operanti a Murano. L’ampliamento, con il recupero di una parte delle ex Conterie, e il restyling – curato da Chiara Squarcina su progetto museografico di Gabriella Belli direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia e l’allestimento di Daniela Ferretti – sono stati possibili grazie al cofinanziamento del Fondo di Sviluppo Regionale dell’Unione europea assegnato dalla Regione Veneto (nell’ambito del POR CRO FESR Veneto 2007-2013) e al fondamentale intervento del Comune di Venezia, che ha condotto, con responsabile del progetto Roberto Benvenuti, la prima fase del cantiere in collaborazione con l’Ufficio Tecnico della Fondazione, diretto da Daniela Andreozzi. In questo modo il progetto ha coinvolto sia le storiche sale di Palazzo Giustinian (dove il Museo ha sede dal 1861), sia un’area dell’ex fabbrica di perle di vetro adiacente il giardino del Museo.

UNA GRANDE STORIA. IL VETRO DI MURANO

Le conterie erano perle di pasta vitrea e in particolare, dalla fine dell’Ottocento, quelle ottenute dai cosiddetti paternostreri tagliando una canna forata e arrotondando poi a caldo i cilindretti nelle ferrazze, appositi vassoi metallici. Nel 1898 più imprese dedite alla produzione di perline – un mondo di tiracanne, conzaureri, tagiadori, cavarobe, fregadori, lustradori, governadori, impiraresse – si riunirono nel complesso sorto tra Palazzo Giustinian e la Basilica di San Donato, nel cuore di Murano: un’unica grande azienda, la Società Veneziana Conterie, che tra il 1940 e il 1970 arrivò a occupare più di tremila addetti, fino alla chiusura nel 1993. Ora gli ambienti restaurati del complesso industriale sono diventati un fascinoso white cube, che mantiene però negli archi e nelle trabeazioni le linee architettoniche del preesistente edificio e che coniuga la luce artificiale con quella naturale, proveniente dall’affaccio sulla Fondamenta Giustinian.

Qui, innanzitutto, un’originale “onda del tempo”, scandita da circa cinquanta opere scelte dall’età romana al Novecento, introduce nel mondo del vetro, esemplificando in maniera suggestiva le tappe salienti della storia vetraria di Murano e le evoluzioni tecnico-stilistiche che l’hanno accompagnata. Perché l’arte del vetro è un connubio magico di creatività e tecnica, una difficile simbiosi tra ideazione artistica, abilità artigianale, capacità quasi alchemica nella costruzione di composti chimici unici e conoscenza di una materia sfuggente e imprevedibile. Ingredienti che ben vengono esplicitati lungo tutto il percorso museale grazie a totem informativi e a contenuti video, realizzati con la collaborazione delle vetrerie dell’isola e dei maestri vetrai. Ma con il suo open space e i sette metri d’altezza, il nuovo volume è anche destinato a ospitare, al piano terra, mostre ed eventi temporanei: primo fra tutti, dal 9 febbraio al 30 maggio, un sentito tributo – con una selezione di opere bianche e nere – a quel magico scultore del vetro che fu il muranese Luciano Vistosi, scomparso nel 2010 dopo anni di successi internazionali ottenuti grazie a sculture fortemente plastiche, dinamiche, imponenti, capaci soprattutto di catturare la luce.

Il percorso vero e proprio si dipana al primo piano nobile, ove il Museo propone la sua eccezionale collezione, con il riallestimento e il nuovo progetto illuminotecnico, attraverso aree tematicocronologiche. L’ingresso di forte impatto è sul sontuoso salone centrale, o portego, con l’affresco allegorico del soffitto, realizzato da Francesco Zugno, restaurato per l’occasione. Il grande ambiente è stato intitolato agli antichi Maestri muranesi, spesso anonimi, ed è espressione della produzione vetraria dal Trecento a tutto il Seicento: la golden age del vetro di Murano. Furono quelli gli anni in cui l’abilità delle fornaci veneziane raggiunse fama in tutta Europa grazie alle innovazioni tecnologiche e di lavorazione: anni in cui a Venezia Angelo Barovier ottenne una sostanza pura chiamata “cristallo”; in cui fu introdotta la decorazione graffita a punta di diamante (intaglio) e vennero inventati il “vetro ghiaccio”, la lavorazione a filigrana, la tecnica a “mezza stampatura”. Tantissime sono le opere eccezionali qui esposte, i manufatti con stemmi dogali o papali, creazioni famose come il cesendello decorato a embrici e oro – caratteristica lampada pensile foggiata su modelli orientali – e pezzi unici quale la celeberrima Coppa Barovier, databile tra il 1470 e il 1480, uno dei vetri più antichi al mondo tra quelli decorati a smalti policromi fusibili. Dal salone, prima di proseguire verso i manufatti del XVIII secolo, si può accedere a una sorta di “antro”, una parentesi dedicata ai vetri d’epoca romana, presi a modello dai vetrai muranesi all’avvio della produzione isolana e capaci di ispirare designer e artisti ancora nel Novecento.

Nella sala dedicata a “Le origini”, nicchie illuminate dall’interno rivelano – come dalle profondità della terra – gli antichi vetri rinvenuti negli scavi e nelle necropoli di Enona, Asseria e Zara, mentre lungo le pareti sono allineate antichissime olle funerarie. Seguono le mode e la creatività del Settecento, con il complesso Trionfo appartenuto alla famiglia Morosini, gli originalissimi fixés sous verre, che presentano scene d’ambiente veneziano alla maniera di Pietro Longhi, e alcuni notevoli specchi muranesi: una vera eccellenza della produzione dell’isola, ambita quanto inimitabile all’estero, richiedendo per le creazioni più imponenti il lavoro di ben cinque maestri. La sala dedicata al “Gusto della mimesi” tra Sette e Ottocento, con i soffiati in calcedonio, i famosi lattimi e la “stravagante” e “fallace” avventurina, segna il ritorno al vetro non trasparente; mentre nel soppalco, che inaspettato si affaccia sul volume delle Conterie grazie a una grande vetrata, non poteva mancare un focus sulle perle veneziane e le murrine. Si possono ammirare qui le murrine Franchini, le già citate conterie, ma anche le perle a lume e i campionari di fine XIX secolo: una collezione importantissima e mai inserita prima d’ora nel percorso museale. Il periodo “buio” del vetro a Murano è rievocato attraverso vetri, arredi e dipinti che richiamano il gusto mitteleuropeo d’inizio Ottocento e il dilagare in laguna di manufatti boemi, favorito dall’imposizione da parte del governo asburgico di dazi sulle importazioni di materie prime e sulle esportazione delle produzioni locali. Tra Otto e Novecento, finalmente, la “rinascita”. Tra i protagonisti, Pietro Rigaglia che riprende la produzione a filigrana, e Antonio Salviati che nel 1866 dà vita a una fornace di soffiati a Murano presentando, l’anno successivo all’Esposizione universale di Parigi, più di cinquecento tipi diversi di vetri.

Infine il XX secolo, con le creazioni geniali di Vittorio Zecchin, Archimede Seguso, Alfredo Barbini, Carlo Scarpa, Napoleone Martinuzzi – di cui il Museo espone anche un nucleo di opere degli anni Venti ricevute in donazione – e di tanti altri artisti che, assieme a straordinari maestri vetrai capaci di plasmare la materia, hanno aperto la strada alla modernità. Prima di lasciare il Museo, di nuovo al piano terra, ecco infine una “finestra” sul design moderno e contemporaneo in una sala intitolata a Marie Angliviel de la Beaumelle, poi Brandolini: la creatrice dei famosi goti, recentemente scomparsa, che la Fondazione Musei Civici di Venezia vuole ricordare in quanto esempio di artista non italiana che ha trovato nel vetro di Murano il suo mezzo espressivo contribuendo alla sua rinomanza internazionale. Qui, grazie all’allestimento volutamente flessibile, potranno essere esposte opere della collezione del Museo attualmente conservate nei deposi, esibiti lavori di giovani artisti, ospitate selezioni delle più significative produzioni attuali dell’isola. Perché il Museo del Vetro, soprattutto ora, con l’atteso ampliamento degli spazi, mira a mantenere vivo il rapporto con la realtà vetraria muranese, con i suoi protagonisti, le loro creazioni, i successi e i momenti di crisi, proponendosi – secondo la volontà dell’abate Vincenzo Zanetti che lo istituì – quale stimolo e punto di riferimento per maestri vetrai e aziende: memoria storica, documentazione di un universo misterioso e affascinante per quanti si avvicinano a esso per la prima volta, ambasciatore nel mondo di un’arte unica e preziosa. Le collaborazioni internazionali, le grandi mostre temporanee, i progetti e i concorsi serviranno anche a questo per un museo che sempre più proporrà suggestive relazioni e dialoghi con l’insieme delle collezioni della Fondazione Musei Civici di Venezia: pittura, scultura, arredi, costumi, materiali d’archivio. Già con la riapertura, nel giardino del Museo si potrà ammirare una gigantesca scultura di Pietro Consagra, Muraglia Rosso Verona e Nero Atlantide datata 1977 (marmo, 330 x 280 x 56 cm), appartenente alla collezione Walter Fontana e concessa in deposito a lungo termine alla Fondazione. Un’opera che in questo luogo, accanto al muro delle ex Conterie, assume una straordinaria forza espressiva.

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