La Petraia: finalmente visibili tutte insieme le 14 lunette delle ville medicee


Si arricchisce il patrimonio storico artistico in esposizione nelle sale della Villa medicea de La Petraia. Di proprietà dello Stato, come del resto tutte le opere appartenute ai Medici, sono 14 le lunette raffiguranti altrettante ville medicee toscane, dipinte dall’artista fiammingo Iustus (Giusto) van Utens (Bruxelles ?-Carrara 1609), che sono appena tornate visibili nell’allestimento permanente negli spazi della bellissima villa sulla collina che sovrasta Castello, alle porte di Firenze, che è entrata a far parte, lo scorso giugno 2013 grazie all’Unesco, della lista dei siti Patrimonio dell’Umanità.

Realizzate per volere del terzo granduca Medici, Ferdinando I, per più di un cinquantennio sono state esposte nel museo topografico di “Firenze com’era”, chiuso alcuni anni fa. Adesso trovano unificata e definitiva collocazione nella Villa medicea della Petraia, dopo il restauro a cura di Rossella Lari e diretto da Alessandra Griffo (Direttrice della Villa medicea de La Petraia) reso possibile grazie al contributo del Monte dei Paschi di Siena.

“Sono quanto mai lieta che siano riunite ed esposte queste lunette – ha detto il Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini -, che costituiscono una serie davvero unica nel pur ricchissimo e variegato patrimonio artistico di Firenze. Simbolo della fierezza dei Medici nel loro controllo del territorio, la serie introduce come niente altro alla vita in villa, un autentico incrocio di temi forti quali il paesaggio agrario, l’architettura e le arti, l’arte dei giardini, le scienze, gli svaghi del tempo libero. Ogni lunetta è un microcosmo da scrutare con un’attenzione appassionata, da entomologo”.

Ha aggiunto Alessandra Griffo: “Le lunette costituiscono un motivo ulteriore di visita al museo e di stimolo per immaginare nuovi progetti di valorizzazione del patrimonio storico artistico di Firenze”.

LE VILLE

Residenze stagionali di corte destinate al riposo e allo svago, ma anche capisaldi del potere dinastico e riferimento sul territorio per le attività economiche e agricole, l’insieme delle ville appartenute ai Medici costituisce ancora oggi un patrimonio percepibile come unitario, a prescindere dalla storia delle singole proprietà attribuite nel tempo a molteplici soggetti. Una selezione che con qualche eccezione corrisponde a quanto poteva registrarsi tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, quando le ville medicee raggiunsero la massima consistenza, anche in termini numerici, estendendosi dal Mugello, terra d’origine della stirpe, focalizzandosi intorno alla sede principe di Firenze, per arrivare, attraverso il percorso fluviale dell’Arno, il Montalbano e il Barco Reale, fino alle aperture sul mare del potenziato porto di Livorno.

I DIPINTI

Consapevole dell’efficacia comunicativa delle immagini e orgoglioso di celebrare la ramificata diffusione dei possedimenti familiari, il terzo granduca Medici, Ferdinando I, stabilì che le ville più importanti fossero raffigurate in una serie di 17 tele destinate a decorare le lunette della ‘sala grande’ di Artimino, detta anche Ferdinanda in suo onore, dove rimasero fino al momento della vendita del complesso, decisa dai Lorena negli anni settanta del Settecento. Di qui vennero trasferite integralmente nella villa di Castello. Oggi ne conserviamo 14; le tre mancanti, dedicate a Careggi, Cerreto Guidi e alla stessa Artimino, andarono disperse alla fine del Settecento, con il passaggio dei francesi, come fanno trapelare alcune note d’archivio.

Le 14 “salvate”, spostate alla metà del secolo successivo nei depositi delle gallerie fiorentine, dalla metà del Novecento hanno fatto parte del percorso di “Firenze com’era” – il museo topografico della città -, smantellato alcuni anni fa.

Il loro allestimento permanente presso la Petraia assume quindi il valore di una restituzione, per analogia, a un contesto simile all’originario; non ad Artimino, ora di proprietà privata, né a Castello, sede dell’Accademia della Crusca, ma nel museo di una villa aperta al pubblico più prossima all’ultima storica collocazione.

ATTRIBUZIONI CERTE E INCERTE

Nonostante sia celebre come repertorio visivo della reggia di Pitti, delle architetture di campagna, nonché dei giardini, boschi, poderi e riserve di caccia che costituivano il cuore del patrimonio fondiario mediceo, la serie dipinta, databile tra il 1599, anno dei primi documenti riferibili alla commissione, e il 1609, data dell’inventario che ne registra la presenza nel ‘salone delle ville’ alla Ferdinanda, rimane tuttavia piuttosto misteriosa sotto l’aspetto dell’autografia.

L’osservazione ravvicinata e comparata delle quattordici lunette, effettuata in fase di restauro anche con l’ausilio di indagini diagnostiche, ha infatti permesso di superare l’impressione di complessiva omogeneità legata ai modi adottati, che univano a una acutezza descrittiva quasi da topografo, la tradizione paesaggistica nordica della veduta ‘a volo d’uccello’, capace di riassumere dall’alto, in un colpo d’occhio, ampie estensioni di territorio. Al contrario si sono messe in evidenza differenze tecniche, esecutive e compositive, interpretabili solo in parte come risultato dell’attività di più ipotetici collaboratori, coordinati da una singola regia; il dubbio si tratti quindi di un progetto avviato, sospeso e infine concluso, pur in un ristretto giro di anni, ma da artefici differenti, è quindi legittimo.

Se il riferimento tradizionale a Giusto Utens, fiammingo documentato per quest’unica impresa, può conservarsi per undici lunette condotte a termine in ambienti di Palazzo Pitti e consegnate dal pittore nel 1603 al momento di lasciare Firenze, le altre restano in attesa di una definitiva attribuzione.

Un occasionale collegamento con Giovanni Bandrais, artista altrettanto ignoto, può avanzarsi sulla base di un riscontro archivistico che lo documenta inviato nel 1606 a Cafaggiolo per realizzare un quadro raffigurante la villa e i suoi dintorni.

Rispetto ad altri il dipinto appare in effetti più corsivo nella resa delle parti alberate; ma a staccarsi dal gruppo è anche la lunetta di Castello, più armonicamente equilibrata nel rapporto anche dimensionale tra architettura e figure. Scenette di giochi e di caccia compaiono per altro solo in quelle della Magia e di Lappeggi, aggiunte in un secondo tempo come denunciano le tracce di disegno a matita nera che ne segnano i contorni, e direttamente riprese dalle contemporanee incisioni di Antonio Tempesta, ispiratrici, alcuni decenni dopo, degli intarsi lignei di una coppia di tavoli attribuiti a Leonardo van der Vinne esposti sempre a Petraia.

E se in alcune lunette, specialmente in quella del Trebbio, ampie porzioni della superficie appaiono poco definite come se fossero in attesa di ospitare dettagli che non vennero mai realizzati, altre immagini sono perfettamente concluse con una lenticolare attenzione al particolare minuzioso e curioso, tanto da renderle preziosi documenti di valore storico senza per questo perdere il carattere di dipinti decorativi, pieni di grazia, di tono talvolta perfino fiabesco.

 

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