Il Segretario Generale del Coisp, Maccari, domani alla trasmissione televisiva di Rai tre Pane quotidiano


“Non esiste una ‘malapolizia’. Con tutto il rispetto dovuto alla professionalità altrui, siamo convinti che dovrebbe iniziare così ogni approfondimento o ogni discussione o dibattito teso ad analizzare vicende dolorose e drammatiche, che sono e restano singoli casi che hanno coinvolto Appartenenti alle Forze dell’Ordine proprio come accade in qualsiasi altro ambito lavorativo e non. Non esiste una ‘malapolizia’, esistono vicende che sono estremamente diverse una dall’altra, che possono classificarsi come violazioni volute, come meri errori, come incidenti, come frutto di corto-circuiti del sistema, come equivoci, o che non possono ancora essere neppure classificate perché chi di competenza non li ha valutati definitivamente anche se l’opinione pubblica viene indotta a crearsi già convinzioni irremovibili. Insistere a voler creare un ‘ambito’ che ricomprenda tutto ciò identificandolo come ‘malapolizia’ è estremamente ingiusto e dannoso per tutti, e non fa che alimentare un’idea che si deposita latente, che cioè le Forze dell’Ordine abbiano ‘due facce’, quella esteriore, luminosa e valorosa, e quella nascosta, crudele e cinica”.

Così Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, torna su un tema di continua attualità, rispetto al quale domani sarà ospite della trasmissione di Rai Tre “Pane quotidiano”, in onda dalle 12.45, condotta da Concita De Gregorio, durante la quale verrà presentato “Il partito della polizia”, il libro sul lato violento delle Forze dell’Ordine.

“Non ci stancheremo mai di ripeterlo – insiste Maccari -: non esiste una ‘malapolizia’. Esiste la Polizia, composta di migliaia di uomini e donne che svolgono fedelmente e, ci si consenta, eroicamente il proprio difficilissimo dovere in condizioni che i cittadini non immaginano neppure, contraddistinti da un concreto amore, da una grandissima umanità, da un profondo senso dell’onore, e poi esistono singole persone che violano quei doveri: che li calpestano vergognosamente, o rispetto ai quali sono solamente negligenti, o che, loro malgrado, li infrangono senza volerlo, oppure che solo apparentemente vi vengono meno, esattamente come accade per tutti gli altri cittadini italiani, dai magistrati ai medici, dai preti agli insegnanti, dai politici ai manager, dai genitori ai giornalisti, e così via… Sentire una cosa come ‘Il partito della Polizia’ fa venire i brividi. Si vuol dare immediatamente un’idea precisa, quella di una casta che si barrica in se stessa per essere libera di fare ciò che vuole, anche perpetrare abusi e abomini, contro i cittadini italiani. E’ una cosa gravissima. E’ estremamente offensivo e profondamente ingiusto. E’ una grande menzogna, che viene costantemente alimentata da continue, battenti campagne mediatiche con le quali si torna e si ritorna e si viviseziona e si interpreta e si giudica e si condanna, gettando sale su piaghe cui dovrebbe invece essere consentito rimarginarsi. Piaghe che sanguinano sull’emotività della gente, ma anche sulle vite degli Appartenenti alle Forze dell’Ordine. Quante altre volte ancora si tornerà a gridare allo scandalo  tirando in ballo il G8 di Genova – peraltro guardando i fatti sempre dalla stessa identica angolazione -? Non c’è fatto di cronaca, o latrocinio, o abominio commesso nella storia recente di questo Paese da chiunque cui siano state dedicati tanti approfondimenti giornalistici quanto quelli riservati a fatti che hanno coinvolto le Forze dell’Ordine – ribadiamo sempre e solo mostrati in un’unica prospettiva -, e noi non possiamo che chiederci: perché? Per una brutta notizia tenuta pervicacemente in auge per decenni, non c’è alcuna delle centinaia di migliaia di notizie meritorie e letteralmente eroiche che ci riguardano che abbiano meritato più di qualche trafiletto o, in casi veramente storici, qualche titolo per non più di un paio di giorni, e noi non possiamo che chiederci: perché? Non c’è più di qualche distratto e breve servizio ogni tanto che si occupi di descrivere, conoscere, approfondire realmente la vita di un Appartenente alle Forze di Polizia, e noi non possiamo che chiederci: perché?”.

“La verità – argomenta ancora il Segretario del Coisp – è che non comprendiamo fino in fondo il senso e l’utilità pubblica di questo modo di atteggiarsi verso chi lavora per la sicurezza. Affermare accuratamente che tanti Appartenenti alle Forze dell’ordine sono diligenti e corretti e che meritano rispetto e gratitudine ogni volta che sta per partire, invece, la consueta lapidazione pubblica contro colleghi coinvolti in singoli fatti di cronaca – alcuni dei quali già puniti in ogni modo possibile, ben oltre quello che capita ai comuni cittadini che sbagliano volutamente o meno -, non impedisce che certi approcci si tramutino inevitabilmente in una criminalizzazione di interi Corpi di Polizia. Per carità, non vogliamo giudicare le altrui scelte editoriali, o affermare che le sofferenze dei familiari di persone coinvolti in fatti di cronaca che ci riguardano non meritino attenzione. Pur se anche in questo caso non possiamo evitare di chiederci se le lapidazioni pubbliche di cui sopra diano sollievo al dolore o servano a lenire il desiderio di riscatto di qualcuno e comunque se le migliaia di familiari degli Appartenenti alle Forze dell’Ordine, magari quelli il cui sangue è stato versato nelle nostre strade, relegati solitamente nel più totale oblio, non meritino la stessa attenzione”.

“E però è necessario ribadire con la medesima forza – conclude Maccari – che non si può criticare noi quando svolgiamo il nostro corretto e doveroso compito di dare voce alle migliaia di colleghi che rappresentiamo. Abbiamo tutto il diritto di dire che tante, troppe cose sottovalutate o ignorate feriscono profondamente chi vive vite disagiate e sacrificate più di molti altri; che spesso nei nostri confronti si reagisce con una severità che va al di là delle stesse previsioni dell’ordinamento (vedi quanto emerso in Cassazione a proposito della mancata concessione dei domiciliari ai colleghi coinvolti nel caso Aldrovandi), comprimendo o svuotando i diritti che ci competono; che certi modi di trattare singoli drammatici eventi non fanno che rendere ancora più critiche le già insopportabili condizioni in cui operiamo; che il peggio che si può dire a chi spende la vita per gli altri è che fa parte di una categoria di potenziali torturatori, di un clan, di un partito”.

Coisp

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